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lunedì 15 febbraio 2016

La fantastica storia di "Io non voto! Tanto sono tutti uguali! (e fa pure figo)"

C'era una volta "Io non voto! Tanto sono tutti uguali! (e fa pure figo)", che per comodità chiameremo Figo.

Figo ne aveva per tutti: "Nessuno è degno del mio voto e della mia attenzione." diceva.
"Tutti rubano, tutti sono ladri, nessuno fa niente!" 

Neppure Figo faceva niente, né si impegnava particolarmente: dall'alto della sua illuminata intelligenza, sosteneva giustamente che dovessero essere gli altri a sbattersi e, in quanto esseri inferiori, sbattersi per avere in cambio le sue critiche.

Figo lavorava in fabbrica, assieme ad altri 1000 operai.
Accanto alla fabbrica di Figo, c'era un'altra fabbrica, in cui lavorava Sfigato, sempre di 1000 operai.

In entrambe le fabbriche, la discussione politica era accesa: io voto questo, io quest'altro, no tu non capisci niente, vota questo qui che ha promesso un lavoro in comune a mio cugino.

Figo iniziò a deriderli tutti: "Voi, piccoli inutili schiavi del sistema. Non capite che la più grande rivoluzione oggi è non votare? Fate come me. Non vi schierate, non votate, criticateli e basta! E' così che si cambia il mondo!"

E un po' per volta, i colleghi di Figo si lasciarono convincere: "Ma vuoi vedere che, sotto sotto, c'ha ragione lui?"

Fu così, che giunte le elezioni, 900 operai della fabbrica di Figo non andarono a votare. Nella fabbrica di fianco, quella di Sfigato, quasi tutti erano andati, in quella di Figo quasi nessuno.

E venne la crisi. Le due fabbriche furono duramente colpite e finirono sull'orlo della chiusura.
Due mila operai incavolati neri andarono a manifestare sotto la finestra del Governo!

- "Governo." disse il ministro del lavoro. "La situazione è seria, che facciamo?"
Il Governo era preoccupato: non poteva salvare entrambe le fabbriche, ma non voleva perdere consensi. Fu allora che si accorse, che nella fabbrica di Figo nessuno era andato a votare, nessuno praticava attivismo politico, tutti criticavano e basta, sentendosi fighi come Figo.

- "Questi non votano, non si impegnano, sanno solo criticare e basta. Se anche chiudo la loro fabbrica, il mio consenso non ne risentirà."

E così Governo salvò la fabbrica di Sfigato: 1000 voti facevano comodo. E lasciò fallire invece quella di Figo...

"Io non voto! Tanto sono tutti uguali!" non sembrava più così Figo ora...


venerdì 5 febbraio 2016

Filosofia economica - Capitolo IV - Teoria del bisogno: ho voglia di...

Salve a tutti, amici lettori.

Con questo post penso di poter concludere la mia personale e assolutamente amatoriale Teoria del bisogno...

Bisogni indispensabili, primari, secondari... e poi? Oltre vi è un campo vastissimo, che va a toccare la personalità, la cultura, le abitudini e il subconscio di ognuni di noi.

In questo caso è molto difficile fare un elenco: ciò che per me è una cosa indispensabile, per un altro potrebbe non essere una cosa importante e viceversa.

Penso che questo ultimo capitolo si possa riassumere tutto con: "Ho voglia di..."

E' una branca dell'economia piuttosto recente, almeno per quanto riguarda il grande pubblico: la crescita economica, portata dal capitalismo, l'aumentare delle risorse e delle opportunità, ha piano piano slegato una grandissima massa di persone dai propri "doveri" e "obblighi" e ha allargato tantissimo l'esplorazione del "superfluo".

Superfluo, tutto ciò di cui non abbiamo bisogno in senso letterale, ma che ci da piacere. Andare al cinema non è certo un obbligo, così come fare sport o visitare musei. Tutte quelle milioni di attività che caratterizzano il nostro, seppur ridotto a volte, tempo libero.

E' ciò che di fatto caratterizza una società che amiamo definire avanzata: ovvero la cultura di ciò che è inutile, ma ci da felicità. Ecco, la parola magica: "felicità".

Tutta la nostra economia si dovrebbe basare sulla felicità... invece... si basa sul "bisogno". E' evidente a tutti la differenza?

"Compra il mio prodotto e sarai felice. Bello\a. Famoso\a. Desiderato\a. Perfetto\a." Ecc ecc.

Basare un'economia sulla felicità, significherebbe insegnare alle persone il senso di questa parola: insegnare come essere felici. E noi dovremmo fare una cosa difficilissima: imparare ad essere felici.

E' molto difficile, ci va studio, impegno, disciplina: in un mondo basato sulla felicità, l'avidità non ha molto posto, perché la felicità non è acquistabile.

Il bisogno invece sì: il bisogno è fisico, concreto, si paga in soldi sonanti.

Pertanto, io venditore, DEVO creare un bisogno nelle persone e ovviamente poi soddisfarlo, incassando il mio giusto compenso. E come faccio a creare un bisogno? Ovviamente sfruttando ciò che manca alla maggior parte delle persone: la felicità.

Prendi una persona infelice, convincila che comprando una tal cosa o servizio sarà felice et voilà! Il gioco è fatto.

L'economia del bisogno è l'antitesi dell'economia della felicità: si nutre di infelicità, si nutre di vuoto intellettuale e morale, si nutre di disperazione, di senso di smarrimento e di mancanza di valori.

Come possiamo creare un mondo con dei valori, se l'economia che utilizziamo si basa sulla distruzione degli stessi? Un mondo ricco di cultura, di buoni sentimenti, di benessere, di tempo libero, insomma, di felicità, non si vende... E fine della storia.

Un'economia attanagliata dall'ossessione della crescita non può permettersi un mondo felice...

La più grande rivoluzione che ognuno di noi può fare è proprio questa: essere felici! La felicità abbatterà il sistema e salverà il mondo!
E qui si conclude il mio personale e del tutto ignorante viaggio nella filosofia economica.

Tutto ciò che ho scritto è parzialmente supportato da dati e teorie, ma soprattutto dall'osservazione personale e soggettiva del mondo che mi circonda.

Non se ne abbiano a male, coloro che la pensano diversamente e si sentano anzi liberi di interagire.

Buona felicità a tutti