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lunedì 23 giugno 2014

Scalare la montagna

Quello che vi racconto oggi, è una cosa davvero accadutami qualche anno fa, per l'esattezza il 9 luglio del 2006...

Non stavo bene in quel periodo, fisicamente e emotivamente... non ero felice.
Ero malato, prendevo medicine... tante medicine... ed ero stanco, tanto stanco di vivere e di soffrire...

Una mattina mi svegliai... erano le 5 di mattina. Il dolore era in tutto il corpo... insopportabile... mi tormentava da settimane...
Mi alzai barcollando a prendere le medicine che mi avevano dato, per calmarlo; aprii la confezione e rimasi là, con la pastiglia in mano.

"Non si può vivere così..." pensai.

Avrei voluto gridare tutta la mia rabbia contro Dio! Un Dio che mi puniva senza motivo! Un Dio che non mi considerava, che se ne infischiava di me! E... diamine, decisi di farlo davvero! Pensai alla grande croce di pietra che qualcuno aveva messo in cima alla montagna...

Prima che me ne rendessi conto, le medicine erano nella spazzatura e io ero sul sentiero. In principio provai a correre, ma la salita era dura e fui costretto a camminare. Il dolore mi faceva impazzire, l'aria fredda e pungente mi feriva la gola e i polmoni... le gambe tremavano nello sforzo.

"Adesso mollo." Mi dicevo. "Faccio ancora 100 metri e torno indietro."

Ma poi, fatti quei cento metri, mi dicevo "Arrivo fino a quel sasso, fino a quell'albero..."

La luce aumentava... qualche uccellino si fece sentire tra gli alberi. Il sentiero si apriva sulla valle, di tanto in tanto e io osservavo le case e i villaggi farsi sempre più piccoli, mentre continuavo a ripeterrmi "Ancora un passo e mi fermo, ancora un passo..."

E così continuai a salire... Bruciavo di febbre, la saliva si era fatta spessa e non riuscivo più a deglutire, il cuore mi martellava nelle orecchie, nella gola, nella schiena, ovunque... Ma io non ascoltai.

Avanti e avanti... un passo alla volta. Passai l'ennesima curva, superai l'ennesima salita ripida... Non so quando accadde, ma ad un certo punto, seppi con assoluta certezza che non sarei tornato indietro. Sarei arrivato in cima. Smisi di ripetere il mantra "torno indietro, torno indietro"...

Sentivo qualcosa di diverso in me, sentivo una forza nuova e sconosciuta che spingeva le mie gambe. La stanchezza era svanita e io mi sentivo leggero. E corsi... corsi dimentico di tutta la strada che avevo fatto fino a quel momento.

Arrivai sulla cresta della montagna, ormai la cima era alla portata dei miei occhi... e proprio in quel momento, il sole fece capolino tra le montagne e mi illuminò! Un branco di cervi fuggì, sentendomi arrivare e io mi sentivo forte, veloce come loro, mentre le gambe mi spingevano verso l'alto. Gli ultimi cento metri li feci quasi volando!

Mi fermai ansante ai piedi della grande croce. Un cielo enorme, azzurro, si stagliava su di me, illuminato da uno splendido sole. I paesi, le valli, la mia vita, i miei problemi, erano piccole cose lontane sul fondo: ero in cima al mondo!

Avevo percorso 12 chilometri, con 1000 metri di dislivello... erano passate due ore, dal mio terribile risveglio. E mi avevano detto di evitare gli sforzi...

Mi resi conto solo allora di sentirmi bene, come non mi ero mai sentito prima: di non provare più dolore, né disperazione, né paura. Allargai le braccia, inspirando a pieni polmoni e urlai, non più di rabbia, ma di gioia! E il mio grido riempì il cielo e rimbombò tra le valli!

Guardai la grande croce e chiesi a Dio
"Perché tutta questa fatica? Non potevi farmi stare bene e basta?"

La risposta mi venne in mente da sola.
"No, non potevo. Se tu fossi stato bene non avresti mai voluto urlare contro di Me, non avresti attraversato sentieri, boschi, dirupi per venirMi a cercare. Non avresti mai visto il mondo addormentato, la foresta, il sole all'alba che ti illumina, non avresti mai visto i cervi. Invece, affrontando il tuo dolore, hai scoperto la tua forza, la tua volontà, hai superato tutti i tuoi limiti pur di sfidarMi. Hai lasciato i tuoi dolori in fondo alla valle e hai scalato la Montagna!"




domenica 8 giugno 2014

Evviva il cuore

Sette, otto settimane: meno di due mesi.
Lo stadio di sviluppo di un feto, in quel momento, è ancora embrionale: pesa un paio di grammi ed ha una lunghezza di un paio di centimetri. E' molto, molto lontano dall'essere chiamato "Essere Umano": non esiste neppure un cervello vero e proprio.
  
Eppure... un piccolo miracolo, sta per verificarsi. Una porzione di tessuti muscolari, nervosi e vasi sanguigni, microscopica (misura qualche millimetro), inizia a... battere. E' qualcosa di straordinario, pensare al primo battito di un cuore; prima c'era certamente fermento, il microscopico corpicino in formazione, i tessuti che si differenziano, ma quello, il primo battito del cuore, è movimento, è rumore, è vita.
   
Tum-tum, tum-tum, tum-tum
  
Tum: ventricolo sinistro, il cuore si riempie, l'anidride carbonica viene esplulsa; ventricolo destro, il sangue viene arricchito con ossigeno e Tum! viene immesso nel corpo. Questo succede migliaia di volte ogni singolo giorno: da quel primo Tum, quando ancora siamo dei microscopici esserini senza quasi una forma, fino all'ultimo secondo della nostra esistenza.
   
Tum-tum, tum-tum, tum-tum
   
E quel rumore ci accompagnerà ogni secondo della nostra esistenza terrena. Inarrestabile, instancabile, con una precisione infallibile, lui è là. Certo, ci sono malattie, arresti, cuori più o meno in salute: ma possiamo essere certi che, se stiamo pensando, parlando, dormendo, se qualcosa funziona dentro di noi... vuol dire che abbiamo un cuore che batte.
  
Mangiamo, dormiamo, amiamo, sognamo, ci agitiamo, siamo tristi, felici, ansiosi, permalosi, belli, brutti, dritti, storti, cattivi, buoni, gelosi, golosi... lui è sempre lì e funziona senza perdere un colpo. Tum-tum, Tum-tum, Tum-tum.
   
E' il nostro motore, il nocciolo della nostra esistenza. Sede delle emozioni, per gli antichi, registra tutto di noi: sa quando abbiamo bisogno di lui, quando darci più forza. Quando siamo in pericolo, è il primo ad accorrere in nostro aiuto, aumentando il ritmo; quando siamo felici, condivide la nostra gioia.
  
E' dentro di noi, ma allo stesso tempo indipendente da noi: ha una mente sua, un piccolo nucleo di cellule cerebrali, che lo separano dalla nostra volontà. Infatti, mentre ognuno di noi può trattenere il respiro, nessuno di noi ha il potere di fermare il proprio cuore. Lo si può rallentare, con alcune tecniche, o accelerare, correndo o saltando, ma la nostra mente non potrà mai bloccarlo del tutto.
  
E' dentro di noi, ma è quasi un altro essere vivente: il nostro amico più fedele e presente. Non si perde un attimo della nostra esistenza e non ci abbandonerà fino all'ultimo respiro. A volte addirittura dopo l'ultimo respiro. E' successo ad alcuni, di essere morti e di avere un cuore pulsante: come un eroe solitario, che non si arrende all'evidenza, continua a lottare per mantenere calore e vita in un corpo ormai privo di guida e di pensiero. E' quella che viene chiamata "Morte cerebrale."
  
E grazie alla medicina, quell'eroe, nei nostri giorni, può essere premiato: sì, perché può essere "donato", può spostarti dal corpo ormai senza vita del suo precedente padrone e sostituire un cuore stanco e malato. L'eroe solitario, che non si è arreso alla morte, può salvare una vita: battere di nuovo in un altro corpo e ridare gioia, calore, corse, amore ed emozioni a qualcuno che rischiava di perdere tutte queste cose.
 
A te, Cuore pulsante: a te, che sei il primo a partire e l'ultimo a fermarti, a te che senza sosta mi sostieni e mi dai la possibilità di esistere!